IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Esaminati gli atti del  procedimento  penale  n.  48/91  g.i.p.,  a
 carico  di  Siino Franco e Dolce Salvatore, imputati del reato di cui
 all'art. 648- bis del c.p. ed altro;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Rilevato che l'art. 270, primo  comma  del  c.p.p.  preclude  ogni
 utilizzabilita'   in   altri   procedimenti   (se  non  nei  casi  di
 procedimenti relativi a reati per i quali sia obbligatorio  l'arresto
 in   flagranza)   dei   risultati   delle   disposte  intercettazioni
 telefoniche;
    Rilevato che in  ordine  ai  reati  oggi  ascritti  e  oggetto  di
 giudizio  (per  i  quali  non e' obbligatorio l'arresto in flagranza)
 hanno rilevante portata indiziaria per l'imputato  Dolce  (e  in  via
 mediata   per   lo   stesso   imputato   Siino)   i  risultati  delle
 intercettazioni disposte in altro procedimento  penale  dall'a.g.  di
 Caltanissetta;
   Rilevato  che  l'art. 270 del c.p.p. preclude nella specie a questo
 g.u.p. di indicare tra gli elementi di prova, nel decreto che dispone
 il giudizio e ai sensi dell'art. 429, lett. d), c.p.p.,  i  risultati
 delle intercettazioni disposte dall'a.g. di Caltanissetta;
    Ritenuto  che  l'art.  270  del c.p.p. appare in contrasto con gli
 artt. 2, 3, 24, 111, 112 e 101, secondo  comma,  della  Costituzione,
 atteso  che,  in violazione del principio di ragionevolezza, sancisce
 un criterio di rimando inadeguato, posto  che  appare  inadeguato  ed
 eccessivamente  generico  il  richiamata tutti i reati per i quali e'
 previsto l'arresto obbligatorio in flagranza;
    Infatti tra i reati considerati dall'art. 380 del c.p.p.  vi  sono
 tra gli altri anche ad esempio i reati di furto aggravato di cui agli
 artt.  625,  nn.  1, 2 e 4, del c.p.; orbene si tratta di reati per i
 quali  l'ordinamento  avverte  l'esigenza  di  apprestare   immediata
 reazione  in  ipotesi  di  flagranza (per l'allarme sociale suscitato
 dall'accertamento del  loro  svolgersi  in  atto),  ma  che  sfuggono
 evidentemente  ad  ogni  ipotesi  di applicazione necessaria, ex lege
 dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere  al  di  fuori  delle
 ipotesi di flagranza stessa;
    Orbene  nell'ipotesi disciplinato dall'art. 270 del c.p.p., con la
 quale si regola il regime dell'utilizzabilita' delle  intercettazioni
 in    altri    procedimenti,    e'    evidente    che   il   problema
 dell'utilizzabilita'  nel  diverso  procedimento  si  pone  sempre  o
 prevalentemente  per reati "storici", dei quali solo una traccia o un
 indizio emergono per di piu' dall'intercettazione;
    Se  pertanto,  come  e' evidente si voleva fissare con il criterio
 sancito dall'art. 270 del c.p.p.,  un  termine  finalizzato  solo  ad
 individuare   la   gravita'   dei   reati   che   possano  consentire
 l'utilizzabilita'  in  altri   procedimenti   dei   risultati   delle
 intercettazioni   (essenso   come  detto  l'estremo  della  flagranza
 ontologicamente considerato, come tale,  irrilevante)  si  tratta  di
 criterio   in   definiva  inadeguato  e  ingiustificato,  poiche'  in
 violazione dell'art. 3 della Costituzione  e  al  di  fuori  di  ogni
 ipotesi  di  ragionevolezza  si rende cosi' utilizzabile il risultato
 delle intercettazioni per il reato di furto con violenza sulle cose e
 inutilizzabile viceversa lo stesso risultato dell'intercettazione per
 il reato di riciclaggio aggravato (come nella specie), che  e'  reato
 di gran lunga piu' grave per i tetti edittali;
    Ancora  pare  che  rispetto  al  limite  per cosi' dire interno di
 ammissibilta' dell'intercettazione, costituito in  via  generale  dai
 reti  per i quali e' prevista una pena superiore nel massimo a cinque
 anni,  il  criterio  di  rimando  per  l'utilizzabilita'   in   altri
 procedimenti  si  appalesi  eccessivo, inadeguato e irragionevolmente
 sproporzionato, posto  che  in  generale  i  reati  per  i  quali  e'
 obbligatorio  l'arresto  in  flagranza sono i reati punibili con pena
 minima non inferiore a cinque anni e con pena massima non inferiore a
 venti anni;
    Tale divieto assoluto di utilizzabilita',  sancito  dall'art.  270
 del  c.p.p., pare cosi' comportare in relazione a seppur gravi reati,
 come nella specie quello di riciclaggio continuato,  una  menomazione
 dei   principi   di   effettivita'  della  giurisdizione  penale,  di
 obbligatorieta' dell'azione penale, di tutela dei diritti delle parti
 offese e delle parti civili;
    E  cio'  tanto  piu'  ove  si  rifletta  che  appare  eccessiva  e
 ingiustificata   la   sproporzione   tra   il   limite   interno   di
 ammissibilita' (pena superiore nel massimo a cinque  anni)  e  quello
 viceversa  fissato  per l'utilizzabilita' in altri procedimenti (pena
 non inferiore nel massimo a venti anni).